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Corte d'Appello di Bologna > Art. 18
Data: 12/12/2003
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 381/03
Parti: Monti & Monti srl / Igino V.
ART. 18 - CONTROVERSIA RELATIVA ALL'INDENNITA' SOSTITUTIVA DELLA REINTEGRAZIONE - TERMINE DI PRESCRIZIONE: DECENNALE - DIRITTO ALLA COMPUTABILITA' DELLE QUOTE DI TFR, PERMESSI RETRIBUITI E FERIE: INSUSSISTENZA.


Un lavoratore ingiustificatamente licenziato, ottenuto nel 1994 dal Tribunale di Bologna un ordine di reintegrazione ai sensi dell'art. 18 Statuto dei lavoratori, aveva successivamente optato per l'indennità sostitutiva della stessa, chiedendo ed ottenendo, per ottenere il pagamento, un decreto ingiuntivo e facendo espressa riserva di agire in separata sede in via ordinaria relativamente alle quote di TFR, dei permessi retribuiti e delle ferie. Tali titoli venivano azionati dopo oltre cinque anni, e la società ex datrice di lavoro eccepiva sia la prescrizione (invocando per l'appunto la prescrizione quinquennale) sia l'infondatezza della domanda. Risultando soccombente in primo grado, ricorreva in appello proponendo le medesime problematiche in secondo grado. Quanto al primo motivo d'appello, la società sosteneva che il diritto all'indennità sostitutiva dovesse essere dichiarato estinto per intervenuta prescrizione quinquennale ai sensi dell'articolo 2948 n. 5, trattandosi di un'indennità spettante per la cessazione del rapporto di lavoro. Il primo giudice aveva ritenuto di non accogliere l'eccezione applicando l'art. 2953 cod. civ. destinato a disciplinare gli "effetti del giudicato sulle prescrizioni brevi" che riguarda appunto l'ipotesi del sopravvenire di una sentenza di condanna, passata in giudicato, su diritti per il quali la legge stabilisce una prescrizione breve. La Corte d'Appello di Bologna, con la sentenza in commento, pur non condividendo la motivazione del giudice di primo grado, ha ugualmente, per ragioni diverse, ritenuto che la prescrizione dovesse essere decennale; ed approda a tale conclusione attraverso un'ampia disamina dell'istituto dell'indennità di cui al quinto comma dell'art. 18, affrontando le connesse problematiche alla luce della più recente giurisprudenza delle alte corti. Osserva innanzi tutto che, come ribadito in una recente decisione della Corte di Cassazione (v. Cass. n. 11609/03) e da diverse pronunce della Corte Costituzionale ( sent. n. 81/1992; ord. n. 160/92, n. 77/96 e n. 291/96) il comma 5 della norma in esame configura un'obbligazione con facoltà alternativa dal lato del creditore-dipendente abilitato a richiedere, in luogo della prestazione dovuta in via principale, una prestazione diversa, di natura pecuniaria, il cui pagamento determina il duplice effetto di estinguere sia il rapporto di lavoro, sia l'obbligo di reintegrazione. La Corte di Cassazione (v. Cass. n. 12366/97, n. 10283/98, n. 14426/00, n. 11609/03 e altre) ha anche affermato che il diritto del lavoratore ad ottenere la predetta indennità in sostituzione della reintegrazione, sorge contemporaneamente al diritto alla reintegrazione, con la conseguenza che non è necessario un ordine giudiziale di reintegrazione per l'esercizio di tale opzione: il lavoratore può quindi anche limitarsi, inizialmente, a chiedere in giudizio tale indennità in sostituzione della domanda di reintegrazione, anche nell'ipotesi in cui il licenziamento sia stato revocato dal datore di lavoro e alla revoca non abbia fatto seguito il ripristino del rapporto. Ed, ancora, il Supremo Collegio ha ritenuto che il termine per l'esercizio, da parte del lavoratore, della facoltà di opzione, alternativamente dal ricevimento dell'invito del datore a riprendere servizio o dalla comunicazione del deposito della sentenza di reintegra, comporta che nel primo caso la decadenza produce la risoluzione del rapporto se il lavoratore non ha ripreso servizio, mentre nella seconda il lavoratore decade dal diritto all'opzione ma conserva il diritto all'indennità risarcitoria (pari alle retribuzioni globali di fatto dal licenziamento alla riassunzione) e alla reintegra sino all'esaurimento del termine per riprendere servizio. Infine la Corte di Cassazione ha stabilito che l'obbligo di reintegrazione si estingue solo con il pagamento dell'indennità sostitutiva prescelta dal lavoratore e non già con la sua semplice dichiarazione di scegliere tale indennità, ponendo in rilevo che, fino a quando il datore non effettua il pagamento dell'indennità sostitutiva, questi è tenuto al risarcimento del danno di cui al quarto comma dell'art. 18, cui il lavoratore ha parimenti diritto, così come espressamente stabilisce il quinto comma dell'art. 18 (Cass. n. 10326/00 e n. 11603/03). Quindi, come puntualizzato dall'ultima decisione citata, il diritto di far valere come titolo esecutivo la sentenza di condanna alla reintegra e al pagamento, a titolo risarcitorio, delle retribuzioni fino alla riassunzione, non viene meno per effetto della dichiarazione di opzione per le quindici mensilità, sino a quando il datore di lavoro non abbia eseguito la suddetta prestazione. Fatte queste premesse la Corte d'Appello di Bologna - escludendo che si possa affermare che il diritto all'opzione sorga a seguito della sentenza, ed anzi affermando che l'esercizio del diritto di opzione sorge per effetto del licenziamento illegittimo ed il suo esercizio è svincolato dalla sentenza che accerta l'illegittimità del recesso - conclude sul punto che "l'indennità in parola non compete per la cessazione del rapporto, ma il suo pagamento presuppone l'attuale esistenza del rapporto e ne ha come effetto l'estinzione". Solo quando detta indennità viene erogata essa determina l'immediata estinzione del rapporto, ponendo fine all'obbligo del datore di reintegrare il dipendente e di corrispondere il risarcimento del danno: quindi, a detta della Corte, non si è in presenza di un diritto preesistente all'emanazione della sentenza, soggetto ad una propria prescrizione breve, che poi si trasforma in una prescrizione decennale per effetto del sopravvenire della sentenza medesima. Peraltro l'istituto esce anche dall'ambito di operatività di ciò che è corrisposto per la cessazione del rapporto di lavoro (trovando causa nell'estinzione del rapporto stesso), e quindi non può soggiacere al termine quinquennale di prescrizione previsto dall'art. 2948 n. 5 cod. civ. In assenza di altre specifiche disposizioni di legge che introducono un termine breve di prescrizione, l'indennità sostitutiva di cui all'art. 18 deve quindi ritenersi sottoposta al regime ordinario della prescrizione decennale di cui all'art. 2946 cod. civ. Quanto al secondo motivo d'appello la Corte d'Appello ha invece ritenuto che ai fini del computo dell'indennità sostitutiva non si possono conteggiare l'indennità sostitutiva delle ferie, i permessi retribuiti e il TFR. Quanto ai primi due istituti la Corte d'Appello ha ritenuto che "pur dovendosi tener conto ai fini della quantificazione della suddetta indennità sostitutiva del parametro della retribuzione globale di fatto e, cioè, della retribuzione che il lavoratore avrebbe ordinariamente percepito nel caso in cui non fosse stato licenziato, la "finzione" legislativa non può essere spinta fino alle estreme conseguenze, con il prospettare (…) che il lavoratore ha effettivamente prestato la sua opera ed usurato le proprie energie psico-fisiche, come se avesse lavorato". Richiamandosi a Cass. n. 13953/2000 sulla ricostruzione del rapporto a seguito di annullamento di licenziamento illegittimo ai sensi dell'art. 18, i giudici bolognesi affermano che il concetto di "normale retribuzione" non comprende "eventuali ulteriori compensi, la cui corresponsione presupponga l'effettivo svolgimento della prestazione lavorativa, come appunto le indennità sostitutive delle ferie, delle festività soppresse e dei permessi retribuiti (v. anche Cass. n. 5626/2000; n. 3131/1998; n. 5485/1995)". In altri termini queste due attribuzioni patrimoniali a favore del lavoratore presupporrebbero, quale condicio sine qua non, l'effettivo svolgimento della prestazione lavorativa, dal momento che la loro funzione non può essere valutata solo in termini di corrispettività (scambio tra lavoro e retribuzione) ma "assume rilievo sotto il ben più ampio profilo della tutela della integrità psico-fisica del lavoratore". A conclusioni non diverse perviene la Corte d'Appello rela